Eschilo, Agamennone
Agli dei
chiedo di liberarmi da questi tormenti, dalla guardia
che dura da un anno e ho trascorso giacendo
a terra con la testa tra i gomiti, come un cane.
E ho conosciuto le adunanze notturne degli astri,
e i signori fulgidi che brillano nel cielo
portando freddo e calura. […] E ora sorveglio il segnale della fiaccola,
lampo di fuoco che da Troia rechi la notizia
e il grido di conquista: così pretende
il maschio impaziente cuore di una donna.
E quando di notte mi distendo su questo giaciglio
fradicio di rugiada, mai visitato dai sogni, che mi costringe a vagare
perché accanto a me sta la paura al posto del sonno, paura
di chiudere saldamente le palpebre; e quando
mi metto a cantare, o accenno una nenia sommessa,
mietendo questo canto come rimedio contro il sonno:
allora piango e lamento la sciagura di questa casa
non più ben governata come prima. Ma ora
felice giunga la liberazione da queste fatiche,
e il fuoco risplenda nelle tenebre, portando buone notizie!
Salve a te, o bagliore che fai risplendere nella notte
luce diurna, e istituisci molte danze in Argo
per ringraziare di questo fortunato evento! Evviva!
Evviva! La donna di Agamennone
esorto a chiara voce: si levi subito dal letto
e innalzi un grido di gioia esultando a questo bagliore,
perché la città di Ilio è stata conquistata, come il fuoco
risplendendo annuncia.
E io stesso danzerò questo preludio,
e proclamerò che sono cadute bene le sorti
dei miei signori, e che questa veglia di fuoco ha gettato ai dadi
per me tre volte sei. Vorrei toccare con questa mano
la cara mano del signore della casa, al suo ritorno! Sul resto
non dico nulla: un grosso bue
mi sta sopra la lingua. La reggia stessa, se avesse voce,
parlerebbe assai chiaro. A chi sa parlo volentieri, se non sa, dimentico anch’io.
da: Eschilo, Agamennone