La Cappella della Madonna di Vitaleta

La cappella della Madonna di Vitaleta si trova al termine di una strada sterrata tra Pienza e San Quirico d'Orcia, all’interno di una proprietà privata.

Cappella della Madonna di Vitaleta. si trova al termine di una strada sterrata tra Pienza e San Quirico d’Orcia all’interno di una proprietà privata.

Immaginatevi l’ampia radura che forma la cima di una delle tante, infinite gobbe della Val d’Orcia. Vicino, una piccola casa roccaforte. Arriva un carretto trinato da un’asino, lento. Tre uomini sul carretto, uno li segue con passo strascicato. In ritardo arriva il quinto. Il carretto inizia ad andare avanti e indietro ed ogni volta scarica calce e blocchi di pietra. Il poggio di Vitaleta (o Vita Lieta), dicono che prenda questo nome dal fatto di essere scampato alle devastazioni che due secoli prima avavano fatto scempio dei poderi e delle fattorie. I cinque hanno una lunga discussione sulle dimensioni da dare alla cappella, piantano i picchetti, li spostano, li ripiantano. Decidono di consultare il parroco. Il parroco, poco incline alle opere l’ingegno, decide di chiedere il parere di Sua Eminenza Il Vescovo. Il quale Vescovo, lusingato dal fatto che sul remoto cucuzzolo dei suoi possedimenti sorgesse una cappella votiva, chiede consiglio al suo Architetto. L’Architetto, dopo mesi, partorisce un florilegio di colonnine ed archi “sì sapientemente giaciuti che il bello vi scaturisce come acqua da fonte divina”.

In cima alla collina arrivarono dei disegni malconci, tre lunghe lettere dell’Architetto, del Vescovo e del parroco, e una scatola di legno che, in base alle lettere conteneva il modello “in scala” della erigenda cappella. Il Vescovo di sua volontà la dedicò alla Madonna.

Aperta la scatola, il modello consisteva in un cumulo di frammenti e alcuni pezzi del basamento di appoggio del fragile manufatto. I cinque non si persero d’animo: scavarono, presero le misure “in scala” (qualunque cosa volesse dire), stesero i fili e guardarono bene modello e realtà. Il modello che avevano ricostruito anche dagli indecifrabili disegni aveva sicuramente una sola stanza. Entrarono nel recinto e due o tre videro la rude pelle dei conci di pietra e il soffitto di travi e tutte le pianelle e i coppi del tetto. Allora si misero al lavoro, quando finirono era il 1590. Da allora, ogni anno, stessa data, una piccola processione rende omaggio allo sperduto cucuzzolo.

Passano i decenni, anzi, i secoli. Nel 1884, l’architetto Giuseppe Partini, su incarico degli allora latifondisti, durante la revisione delle cappelle votive (ed erano centinaia!), calpestò quella stessa ampia radura e ammirò le miti rigorose proporzioni della Madonna di Vitaleta. La struttura, sul lato absidale verso nord, aveva subito delle lesioni da un vecchio terremoto. Tornò, fece qualche schizzo, assaporò uno splendido picnic offerto dal latifondo, non declinò l’offerta di un più lungo soggiorno anche in virtù del fatto che Beatrice, figlia maggiore del latifondista, corrispondeva perfettamente alla sue aspettative matrimoniali. Durante la quiete autunnale disegnò la nuova facciata della cappella e il suo nuovo decoro interno. Alle figle del latifondista piacque enormemente. Tutto uno stridulio e uno stormire di piumaggi. Il momento era buono e un po’ di pubblicità non poteva nuocere, pensò il latifondista. E pensò anche che l’architetto Partini poteva essere un buon padre per i suoi nipoti.

Alla fine dei lavori vennero piantati i sei cipressi.

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