“… corridoi lunghi e sterili fanno da scenario a tutto ciò che è brutto nell’architettura moderna.” 

quindi:

Mantieni i passaggi brevi. Rendili il più possibile simili alle stanze, con tappeti o legno sul pavimento, mobili, librerie, belle finestre. Rendili generosi nella forma, e dai loro sempre molta luce; i migliori corridoi e passaggi di tutti sono quelli che hanno finestre lungo un’intera parete.

  • N.B. Consulta sempre il testo originale per la completa comprensione del pattern.


    In effetti, i brutti e lunghi corridoi ripetitivi dell’era delle macchine hanno così tanto infettato la parola “corridoio” che è difficile immaginare che un corridoio possa mai essere un luogo di bellezza, un momento nel tuo passaggio da una stanza all’altra, che significa tanto quanto tutti i momenti che trascorri nelle stanze stesse.

    Ora cercheremo di individuare la differenza tra i corridoi che vivono, che danno piacere e fanno sentire le persone vive e quelli che non lo fanno. Ci sono quattro questioni principali.
    La questione più profonda, secondo noi, è la luce naturale. Una sala o un corridoio generosamente illuminato dal sole è quasi sempre piacevole. L’archetipo è la sala unilaterale, rivestita di finestre e porte sul suo lato aperto. (Nota che questo è uno dei pochi luoghi dove è una buona idea illuminare uno spazio da un solo lato).

    La seconda questione è la relazione del passaggio alle stanze che si aprono ad esso. Le finestre interne, che si aprono da queste stanze nel corridoio, aiutano ad animare il corridoio. Stabiliscono un flusso tra le stanze e il corridoio; supportano uno stile di comunicazione più informale; danno alla persona che si muove attraverso il corridoio un assaggio della vita all’interno delle stanze. Anche in un ufficio, questo contatto è buono finché non è estremo; fintanto che i posti di lavoro sono protetti individualmente dalla distanza o da una parete parziale – vedi UFFICIO SEMI-PRIVATO (152), INCLOSURE SPAZIO DI LAVORO (183).

    […]


    da: C. Alexander et al., A Pattern Language, Oxford University Press, New York, 1977


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